di Cosimo Risi del 21/3/2024
La trappola di Tucidide è bi-direzionale. C’è chi ne vuole uscire rilanciando la pista diplomatica, c’è chi la ritiene inevitabile e allestisce il riparo. Ambedue le reazioni tendono a semplificare, lo scenario è assai sfaccettato per le numerose varianti in gioco. Ci vorrebbe l’ennesimo algoritmo a valutare il tasso di probabilità riguardo a cosa accadrà, in novembre, negli Stati Uniti.
La Russia si sente più forte sul piano militare ed ha sistemato la pratica elettorale nel modo che ora diamo per scontato. Non lo era nel 2022. Allora la salute politica e fisica del Presidente era data per precaria se non seriamente compromessa.
Si riattivano gli sforzi di mediazione. Dopo l’avvertimento della Cina “di guerra nucleare non si deve parlare”, entra in campo l’India. Il Premier Modi telefona a Putin e Zelenskyj. Le due potenze asiatiche, in perenne confronto strutturale fra loro, si trovano d’accordo su un punto: il mondo non ha bisogno di un conflitto generalizzato, qualche gruppo d’interesse ne ricaverebbe vantaggio, non il commercio internazionale.
L’attesa dell’avvento è alta in Medio Oriente. Ciò che accade a Washington ha riflessi a Gerusalemme e viceversa. Il rapporto fra Benjamin Netanyahu e Joe Biden è ai minimi termini. Dopo un mese di silenzio diretto, i due hanno parlato al telefono per concludere la conversazione con l’irrigidimento sulle posizioni di partenza.
Israele continua a pianificare l’assalto a Rafah, l’ultima postazione di Hamas a Gaza. Gli Stati Uniti ritengono che Hamas vada disintegrata con mezzi che salvaguardino i Gazani. Nella Striscia imperano le malattie endemiche e la fame. Josip Borrell parla del fenomeno come di uno strumento di guerra e, come tale, passibile di crimine di guerra.
Chuck Schumer è il capogruppo democratico al Senato americano. E’ l’ebreo di più alto rango nella politica americana. Schumer sostiene che Israele necessita di un cambio di governo attraverso le elezioni anticipate. Benny Ganz, membro del Gabinetto di guerra a Gerusalemme ed oppositore di Netanyahu, è dato per vincente dai sondaggi, da Primo Ministro in pectore è stato ricevuto a Washington.
La sortita di Schumer, un sicuro amico di Israele, è letta dagli avversari come un’interferenza esterna in un paese sovrano. I Repubblicani saltano sull’argomento per sostenere, con Donald Trump, che gli ebrei che votano democratico tradiscono Israele. Sottinteso: votino per me che di Israele curo l’interesse profondo.
Ed ecco che Jared Kushner, il genero di Trump e già suo inviato in Medio Oriente, esce con una serie di affermazioni che sarebbero out of the blue, fuori contesto, per qualsiasi personaggio, non per lui che del candidato repubblicano alla Casa Bianca è intimo.
Kushner parla della spiaggia di Gaza come di una “proprietà ad alto valore immobiliare”. A condizione che la Striscia sia sgombrata dai suoi abitanti. Con le distruzioni di questi mesi Gaza non esiste quasi più, tanto vale che gli abitanti residui si trasferiscano in parte in Egitto e in parte nel Negev. L’Egitto, che non li vuole, va convinto ad accoglierli “con mezzi diplomatici”. Il Negev va riadattato con la tecnologia israeliana, capace di miracoli nel deserto, ci si coltiva persino la vigna da vino.
Nella sua franchezza ai limite della brutalità, Kushner delinea la strategia dell’auspicata Amministrazione Trump: un misto di spregiudicatezza e di senso degli affari. Sullo sfondo è l’estensione degli Accordi di Abramo, di cui lo stesso Kushner fu promotore, ai paesi arabi in lista d’attesa, in primis il Regno saudita. L’importante è contenere l’Iran e le sue propaggini nel Golfo.
La sua è la ricetta per sottrarsi alla trappola in Medio Oriente. La stessa potrebbe applicarsi in Europa. Dove si chiederà all’Unione di farsi carico della propria sicurezza.
E qui interviene la proposta di Borrell di coordinare civili e militari per resistere agli eventi bellici e di dotarsi di una effettiva politica di difesa. Vanno emesse delle euro-obbligazioni, sul modello del Recovery Plan. Va contrastata la riserva degli stati membri frugali (Germania, Paesi Bassi), che si irrigidiscono al solo sentire di debito comune.