di Marco Menato del 17/11/2023
L’articolo di Arianna Boria, La libreria di Saba a Trieste sta cadendo a pezzi (Il Piccolo, 12 novembre), mi riporta alla mente altre decine di articoli più o meno sul medesimo argomento che il giornale ha dedicato all’argomento. Tutto è cominciato nel 2012 quando abbastanza improvvidamente lo Stato (Ministero dei beni culturali) decise di dichiarare la libreria “studio d’artista” (!) e quindi di vincolarla, secondo quanto previsto dal Codice dei beni culturali. Ne è seguito il solito protocollo di intesa fra Stato, Regione e Comune per dare degno corso a quanto stava scritto nel decreto di vincolo. Per distinguere il materiale risalente a Saba, furono eseguiti lavori di catalogazione, pulizia e riordino della libreria sotto la direzione della Biblioteca statale di Trieste. Il Comune di Trieste, a conclusione dei lavori nel dicembre 2016, pubblicò per le cure di Bianca Cuderi “La libreria antiquaria Umberto Saba. Il poeta libraio”, al quale volumetto rimando per molte altre informazioni tecnico-amministrative e per il mio saggio sulla storia della Libreria.
Conosco quindi abbastanza bene la storia della libreria per averla studiata in diverse occasioni, a partire dal fortunato ritrovamento nella Biblioteca statale isontina di Gorizia della prima serie dei cataloghi di vendita della Libreria (in sostanza quelli compilati da Saba e quindi più rari e ricercati), ad eccezione del mitico numero uno del 1923 (noto, che io sappia, solo in due collezioni private). Raccolta che fu completata proprio da Mario Cerne che regalò all’Isontina i numeri mancanti, così da costituire almeno una raccolta completa nel panorama bibliotecario italiano.
La libreria antiquaria Saba, proprio per essere stata acquistata e gestita da Saba in persona fino alla morte, con la collaborazione del famoso Carletto, padre di Mario, e per non aver Saba mai fatto mistero di un fatto così commerciale e prosaico, ha una genealogia di tutto rispetto, che risale a prima di Saba (e anche per questo motivo è partita subito con una marcia in più) ed è forse l’unica in Italia che possa vantare un’origine illustre ed allo stesso tempo antica: infatti, oggi, 2023, è un secolo dalla pubblicazione del suo primo catalogo (1923) ed è più di un secolo che la libreria funziona ed è aperta nel luogo dove tutti la possono ancora vedere e visitare.
Tuttavia, la Saba non è soltanto un’antica libreria, ma è stata e resta per l’amministrazione finanziaria un negozio di libri antichi o solo vecchi, con tutte le necessità che stanno alla base del commercio, direi di qualsiasi commercio di cose (i libri sono infatti ‘cose’ prima di essere contenitori di idee). Certo vendere libri, antichi o moderni che siano, non è facile, ieri e forse più oggi con la concorrenza spietata della tecnologia elettronica, ma la Saba è riuscita da Saba, ma anche prima con il precedente proprietario Giuseppe Maylander, fino ad oggi con Mario Cerne, a rimanere sul mercato adattandosi ai tempi. Le librerie non nascono adulte, sono costruite lentamente dal libraio e dal pubblico che riesce a coltivarsi; quindi, sono per natura differenti l’una dall’altra e non facilmente paragonabili. Anche Saba dovette inventarsi dei sistemi per attirare e fidelizzare un certo tipo di pubblico, così fece il successore Carletto rivoluzionando, per esempio, la struttura dei cataloghi di vendita e poi il figlio di lui, Mario, il quale alla morte del padre scelse di interpretare la figura del testimone: di un grande poeta e di un’epoca che nel racconto era dorata. Chi succederà a Mario Cerne (perché è ancora lui il proprietario, mentre invece dai discorsi che si fanno sembra quasi che sia andato in pensione!) dovrà trovare un altro stile, non potrà evidentemente essere il ‘testimone’ (e poi di che cosa?).
Da più parti si dice, e sembra sostenerlo anche Mario Cerne nel ruolo appunto del ‘testimone’ (ma è un ruolo che si esaurirà con lui), facciamone un museo? Oggi i musei, specialmente i grandi musei statali (per quelli degli enti locali la semplice esistenza è molto più difficile, Revoltella docet) vanno di moda e hanno conquistato, a differenza di un tempo e in confronto ad archivi e biblioteche, molto spazio sull’informazione. Chi dovrebbe tramutare una libreria, un esercizio commerciale ancora in funzione, in un museo? Il Comune, la Comunità ebraica che è proprietaria del sito, lo Stato, la Regione che dovrebbe comprare la libreria e assegnarla per la gestione all’Erpac? Che cosa verrà esposto in questo museo? Il tavolo da lavoro, la macchina per scrivere, un po’ di volumi con la sigla di Saba, un quaderno degli acquisti, un po’ di schede scritte da Saba: ci sono forse carteggi, fotografie, documentazione amministrativa (quella che era conservata nell’archivio della Camera di Commercio è irreperibile), tenuto conto che i pezzi migliori sono stati acquistati in questi anni dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e il resto sta nel Fondo Saba dell’Università di Pavia? Senza aggiungere che per farne un museo ci vorrebbe un dipendente, una sistemazione a norme di legge dell’area (che a questo punto non sarebbe più un antro, come lo ha appellato Saba): mi pare proprio un’idea temeraria, avanzata da gente che di istituzioni culturali non sa proprio nulla. La mia proposta è molto semplice, forse banale: che rimanga una libreria di antiquariato. Basta mettere in giro la proposta e qualcuno si farà sicuramente avanti: la concorrenza non manca da Trieste a Gorizia, da Milano a Firenze e Roma, tutte città che in qualche modo hanno a che fare con Saba. Certo, se si parla a sproposito, se ci si limita al lamento o, peggio, alla colletta per il restauro (di una libreria o di un museo?) non si va da nessuna parte, si chiude e basta. Senza lacrime.