Grazie Pino, ti porteremo dentro di noi
Che ne sai tu?
“ Caro mio, che ne sai, tu…di tutta la fatica che bisogna spendere per scrollarsi di dosso la pesantezza dello sbaglio. Quello sbaglio afferrato e vissuto con l’illusione leggera del prestito, e poi sopportato con l’ingiustizia degli strozzini per millequattrocentoquaranta minuti al giorno, ogni giorno. Che ne sai ,tu, di come sia difficile la strada quando il fiato pretende il ritmo dell’affanno, quando l’acquolina in bocca diventa sputo, quando l’età si toglie il disbrigo della conta, e quando l’uso e l’abuso dell’ingiusto diventano impellenti come il pane quotidiano. Che ne sai, tu, dei temporali travestiti da sole, che fingono di compiacerti il panorama e poi ti spengono la luce e, al buio, ti bastonano fino a farti ammalare di tristezza eterna.
Che ne sai, tu…del peso e della maledizione delle etichette, che moralisti con morali senza riflessione t’incollano sulla fronte e sulla vita. Non è mica così facile guarire, quando gli altri non ti riconoscono il diritto a una salute. Che ne sai, tu, di tutte le dita puntate sulle spalle, delle lingue che frustano la schiena, e della maldicenza che avvolge la tua storia, col fango, impedendoti così di galleggiare sull’ipotesi di una rinascita. Che ne sai, tu…dei morsi e dei rimorsi ingoiati e fatti girare dentro le indigestioni della coscienza. Mille volte maledizione al nostro sbaglio, mille volte perdono a chi lo ha dovuto subire. Che ne sai, tu, delle notti scosse come un mare agitato, quando ti impongono l’insonnia con le onde del passato, o quando accendono i riflettori del rammarico per illuminare e rammentare i passaggi di uno spreco. Che ne sai, tu…dei piccoli grandi successi capaci di ribaltarti la storia e allargarti il sorriso. A volte basta poco: un piccolo sostegno, una mano allungata senza il guanto del sospetto. Con la generosità di un gestosi può abbassare la salita, resuscitare un figlio, riscoprire una madre, un padre, e si può persino sbugiardarsi il peso morto di una rassegnazione. Che ne sai, tu, di come una pianta secca possa inventarsi un fiore, e poi un seme, e poi altri fiori, e tutti rammentando gli inciampi trascorsi, accuratamente cresciuti con l’attenzione di un petalo.
Che ne sai, tu…della storia di una testa bassa che mette un piede oltre la vergogna, e si concede di diventare fronte. Fronte per millequattrocentoquaranta minuti, ogni giorno. Sapessi quanta fatica si è costretti a spendere, prima di raggiungere e conquistare la sensazione del riscatto. Basta un niente per ricadere, ci vuole una vita per risorgere.
Che ne sai, tu…e se lo sai, bè, allora ti chiedo scusa, e prova a comprendere tutto il mio timore per la miseria del non sapere altrui!”
Pino Roveredo
da Mastica e sputa