di Cosimo Risi del 11/7/2022
Il Mediterraneo è un mare di crisi. Si prenda la nuova dottrina strategica NATO. Le conclusioni del Vertice di Madrid (giugno 2022) recitano: “La Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli Alleati e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica”. L’apertura alle adesioni di Finlandia e Svezia rafforza il fronte settentrionale.
La Turchia è così abituata a giocare su vari tavoli che ha lasciato credere, a chi volesse crederci beninteso, che si sarebbe opposta alle candidature di Helsinki e Stoccolma. La riserva pareva inossidabile, è caduta d’un baleno nel corso di una riunione triangolare del Presidente Erdogan con il Presidente di Finlandia e la Prima Ministra di Svezia, a margine del Vertice di Madrid.
Il memorandum dei rispettivi Ministri degli Esteri contempla un pacchetto di reciproche concessioni. I due paesi scandinavi s’impegnano nella lotta al terrorismo di marca curda, il PKK essendo nella lista delle organizzazioni terroristiche, fino a estradare alcuni fuoriusciti verso la Turchia. Sempre che i Tribunali siano dello stesso parere. Consapevole del rischio di impantanarsi in una querelle giudiziaria, Erdogan si riserva di bloccare la ratifica dei Trattati di adesione in caso di mancata estradizione. Fra il non detto del memorandum è la disponibilità americana a fornire alla Turchia gli aerei F35, l’oggetto del desiderio delle aviazioni alleate.
L’allargamento infrange l’obiettivo della Russia di smembrare la NATO e allontanarla dai propri confini. La NATO aggiunge un migliaio di kilometri di confine comune fra l’area del Bene (l’Occidente) e quella del Male (l’Oriente). Oltre trenta anni dalla perestrojka di Gorbacev sono cancellati da un colpo di metaforica penna. Una generazione perduta di politici e diplomatici.
Il fronte meridionale resta in proporzione scoperto. Con i nuovi Comandi da installare a Est, rimane meno forza da dispiegare a Sud. Il Mediterraneo diventa sempre più affare “interno” dei paesi rivieraschi e dei vicini.
Alcuni paesi mediterranei e del Golfo si mettono in proprio. La lezione dell’Afghanistan con il precipitoso ritiro del 2021, l’attenzione americana volta a Est e all’Indo-Pacifico, la strutturale debolezza d’Europa: ecco le prove che si può contare fino ad un certo punto sugli amici occidentali nei frangenti delicati.
Gli Stati Uniti stanno negoziando con l’Iran la revisione del Piano d’Azione sul nucleare. Non sembrano impegnarsi contestualmente a impedire le escursioni della Repubblica Islamica verso i paesi arabi, dove Teheran si vale delle milizie di fiducia (Siria, Libano, Iraq, Yemen) e degli attentati.
Si apprende solo ora che mesi fa, presso una base egiziana, si riunirono alti esponenti militari di alcuni paesi arabi e di Israele. Lo scopo era di coordinare le rispettive difese aeree dagli attacchi esterni. In realtà per approfondire e rendere operativa la convergenza di interessi nel contenere il nemico comune senza contare, sempre e comunque, sull’intervento americano.
In una regione poco adusa alle regole democratiche, un paese soffre di eccesso di democrazia. Per la quinta volta in tre anni e mezzo, Israele si appresta a lezioni anticipate. Il Primo Ministro Bennett lascia il posto a Yair Lapid per guidare il paese nella competizione. Lo stesso Bennett dichiara di non volersi ricandidare e lascia la guida del Partito Yamina alla Ministra dell’Interno Ayelet Shaked. L’orologio del negoziato con i Palestinesi si ferma di nuovo.
L’instabilità è il codice del Mediterraneo. Il vento spira caldo e sabbioso dai deserti e prosciuga la nostra Penisola con la siccità. Speriamo che si tratti solo di un fenomeno meteorologico. Non è che il nostro dibattito pubblico sia attento al Mediterraneo. Ci apprestiamo anche noi alle elezioni.