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Del cammino come opportunità

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di Andrea Bellavite del 30/03/2021

Nel 1989, in concomitanza con la Giornata Mondiale dei Giovani, indetta dalla Chiesa Cattolica a Santiago de Compostela, fu rilanciato da papa Woityla il “Cammino” per eccellenza.

La principale via di pellegrinaggio medievale, lo specchio sulla terra della celeste “Via Lattea”, il punto focale di un indimenticabile film di Luis Bunuel, era a quel tempo percorso, dai Pirenei alla Galizia, da circa 30.000 persone ogni anno. Non erano poche, in verità, tenendo presente che in quel tempo era richiesta una posta di bilancio familiare piuttosto elevata oppure, in alternativa, una forte capacità di adattamento.

30 anni dopo, prima del tracollo di tutte le forme di turismo determinata dalla pandemia, quasi 300.000 persone avevano percorso a piedi o in bicicletta almeno 100 chilometri, ricevendo al termine della loro fatica quella specie di “ricevuta del viaggio” chiamata “Compostela”.

Cosa c’è stato in mezzo? La lungimiranza degli spagnoli che hanno saputo approfittare della situazione. I pellegrini medievali si mettevano in viaggio soprattutto per motivi religiosi, ma il lungo periodo fuori casa aggiungeva alla loro intenzione originaria molte altre motivazioni. Attorno ai viandanti fioriva un indotto straordinario, decine di migliaia di persone percorrevano in lungo e in largo l’Europa, 30-40 chilometri al giorno. Avevano bisogno di alloggi per dormire, di locande per mangiare, di farmacie per alleviare i dolori, di tribunali per dirimere gli inevitabili litigi, oltre che naturalmente di chiese in cui pregare e monasteri in cui riversare i fardelli dell’anima. I siti benedettini e le vie dei pellegrini costituivano una specie di internet tutt’altro che virtuale, dove circolavano notizie, proposte culturali, narrazioni di storie realmente accadute o totalmente inventate.

La Spagna, tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, ha provato a riproporre, in forma attualizzata, la stessa intuizione, indebolendone la componente esclusivamente fideistica a vantaggio di quella culturale e anche – in certo qual modo – sportiva. In altre parole, sulla base della consapevolezza che camminare fa bene all’anima, al corpo e allo spirito, si è creata una rete straordinaria di infrastrutture, in grado di offrire a un pubblico molto vasto la possibilità di dedicare un mese della propria vita a sé stessi, senza per questo azzerare i conti in banca o rischiare la pelle nei nuovi deserti della società del Capitale. Il risultato è facile da constatare, con un semplice sguardo alla matematica: se circa mille persone al giorno camminano o vanno in bicicletta, i paesi attraversati, non a caso dislocati con distanze di circa trenta chilometri l’uno dall’altro, devono preparare 1000 posti letto, 1000 cene, un centinaio di visite farmacistiche, una chiesa e così via. E’ facile capire come mai tutti i villaggi situati lungo il cammino siano letteralmente rinati, quelli disabitati hanno ripreso a vivere, le strutture in rovina sono state rialzate, la disoccupazione è stata ridotta. Insomma, anche se molto distante da quella dei predecessori medievali, è un’esperienza divertente e senza ordinari pericoli per un cittadino della civiltà dell’opulento Occidente che si può misurare con la propria capacità di costruire relazioni semplici e non inquinate dal tran tran della quotidianità.

Negli ultimi dieci anni l’esempio della Spagna è stato seguito un po’ ovunque, con la proposta di una miriade di strade da percorrere a piedi, con esiti più o meno soddisfacenti. La Via Francigena, da Canterbury a Roma sulle tracce di un antico diario di viaggio di tal Sigerico, vissuto oltre mille anni fa, consente l’attraversamento di paesaggi incantevoli e di indimenticabili città d’arte. Solo nell’ultimo decennio è stata progressivamente attrezzata, giungendo a richiamare nel 2019 intorno ai 15.000 visitatori. Sono nate poi le “Vie” di Francesco, di Benedetto, di Antonio da Padova, di San Michele e così via, per rimanere solo alle più conosciute italiane.

Anche la nostra Regione è, come del resto nell’antichità, un incrocio di questo tipo di percorsi. Aquileia è una tappa fondamentale dei cammini Jacopei che attraversano la Slovenia e l’Austria prima di affrontare la Pianura Padana. Nella frazione di san Tomaso a Maiano è stato splendidamente restaurato di recente e riportato alla sua struttura originaria un luogo di accoglienza costruito sul modello dell’”Hospitale dei pellegrini” di san Giovanni a Gerusalemme. L’ambiente, molto suggestivo e divenuto centro culturale internazionale, si trova sulla Via d’Alemagna, dalla Germania verso Roma e verso la Terra Santa.

Da Aquileia si dipana anche la Via Postumia che tagliando in due la pianura, conduce i viandanti fino a Genova, come pure transita la Romea Strata, frutto di accurata ricostruzione storica, che identifica la via dei “romei” verso la tomba di Pietro.

Un cammino meno pretenzioso, ma proprio per questo più facilmente percorribile da chi non può investire più di dieci giorni, è l’Iter Aquileiense, altrimenti detto Cammino Celeste. Dopo un prologo dall’Isola di Barbana e Grado, il primo giorno prevede una quindicina di chilometri per raggiungere Aiello, il “paese delle meridiane”. Poi si toccano Cormons, Castelmonte, Cividale, le selvagge Valli del Natisone, la Val Resia e quella di Dogna, per scendere in Val Saisera e risalire sul Monte Santo di Lussari lungo la “via dei pellegrini”, da Camporosso. E’ proposta anche un’alternativa in territorio austriaco – dal santuario di Gurk, inserito nella rete di cammini dell’Alpe Adria – e una in territorio sloveno – dal santuario mariano di Brezje, a nord di Lubiana. L’organizzazione di un “cammino” è più semplice immaginarla che realizzarla. Occorrono una forte attenzione al territorio, la relazione costante con gli enti locali, la collaborazione con l’amministrazione regionale, il controllo costante della percorribilità dei sentieri e delle condizioni degli alloggi individuati, l’opera di divulgazione e di “pubblicizzazione”, le cartine di orientamento, le guide, il rapporto con i media, la sinergia con gli altri simili percorsi e così via. C’è bisogno di tanto impegno, da parte di associazioni e singoli appassionati, oltre che di sostegno anche finanziario, proporzionale alla visibilità dell’iniziativa.

Anche in questo caso la ricaduta sui territori non è secondaria. Sempre fino al 2019 (ma in questo caso anche il 2020 non è stato inferiore) tra le 500 e le 600 persone hanno percorso, nei mesi estivi, il Cammino Celeste. Osservandolo da un punto specifico di passaggio, che è il paese di Aiello del Friuli, si può dire che se certamente non si hanno i numeri e le derivazioni del Cammino di Santiago o della Via Francigena, nel suo piccolo l’Iter Aquileiense permette di portare una ventata di freschezza e di novità. Si rendono possibili incontri con persone che provengono da tutto il mondo, si riempiono – almeno i certi periodi – le case adibite all’accoglienza turistica, si offrono opportunità a chi gestisce esercizi commerciali finalizzati a fornire cibo e bevande. Unito alle opportunità del reticolo di vie ciclabili in fase di avanzata progettazione esecutiva che consentiranno ai ciclisti della ciclabile FVG1 Alpe Adria di variare il percorso tra Palmanova e Aquileia, il cammino celeste, esistente da meno di 15 anni, si può configurare come una grande opportunità per l’intera Bassa Friulana. Certamente, è un’occasione anzitutto spirituale, culturale, naturalistica o sportiva, ma anche un esempio innovativo, significativo, ecologico e umano, di come si possa valorizzare il tessuto economico e produttivo di un particolare territorio.

Per ulteriori informazioni relative all’Iter Aquileiense (o Cammino Celeste), si rinvia al sito: www.camminoaquileiese.it. Per un approfondimento dei temi legati al senso attuale del “cammino”, la bibliografia è immensa e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Per rimanere all’autore di questo articolo si consiglia la lettura del libro Lo spirito dei piedi, della “Piccola filosofia di viaggio” dell’ottimo editore Ediciclo.

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