di Simone Oggionni da Strisciarossa del 1/06/2020
Che spazio ha la sinistra nell’Italia della ricostruzione? Questa è la domanda che andrebbe posta, trovando al più presto le forme e i tempi di un processo democratico nel quale discutere, decidere, agire.
Benintesi: la priorità della nostra azione è oggi nel governo e al governo, a contatto quotidiano con i problemi del presente. E non sfugge che qui, pur in presenza di limiti oggettivi, il tratto prevalente dell’azione dell’esecutivo sia – anche grazie alla nostra presenza e insistenza – un tratto di equità e di giustizia sociale. Mi riferisco in primo luogo alla nuova stagione di investimenti nella sanità pubblica inaugurata daRoberto Speranza; ma anche ad alcuni interventi straordinari e inediti sul lavoro, il sostegno al reddito, il sostegno alla liquidità. Il divieto di licenziare anche nelle piccole e microimprese, l’estensione degli ammortizzatori sociali anche per i lavoratori delle aziende sotto i cinque dipendenti, la copertura in termini di reddito di tutte le forme di lavoro e le tipologie contrattuali, dagli autonomi agli stagionali, dalle partite iva ai professionisti fino al reddito di emergenza: si tratta solo di alcune delle misure che dobbiamo sapere valorizzare.
Ma forse il punto, al principio di questa fase nuova della ricostruzione, è un altro. E riguarda precisamente la sinistra e il suo ruolo. Il ruolo e la funzione di chi vuole consentire al Paese di produrre quel salto di qualità che occorre per evitare che gli effetti della crisi si cronicizzino e di chi, nel farlo, vuole riformare nel profondo l’Italia, redistribuendoricchezza, opportunità e diritti.
Per questo dico: si pensi, con la forza e il coraggio dei pensieri lunghi, al contenuto e al contenitore. Lo si faccia insieme, fuori da ogni principio astratto di autosufficienza delle organizzazioni che rappresentiamo. Lo si faccia interrogando il sindacato e le forze associative, democratiche e progressiste, che irrorano il tessuto sociale del nostro Paese, coinvolgendole in una discussione e in un processo all’altezza dei problemi del nostro tempo.
Il contenuto. Superiamo le auto-censure di questi anni. Di fronte a un modello dello sviluppo palesemente inadeguato, dobbiamo avere il coraggio di proposte trasformative: l’orizzonte di una riforma fiscale complessiva, che sostituisca il sistema delle aliquote con una funzione matematica capace di regolare e garantire la progressività; la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; lo stop alle forme di lavoro precarie e prive di tutele, riconducendo il più possibile ai contratti collettivi nazionali e al tempo indeterminato. Ma soprattutto occorre aprire finalmente il capitolo degli investimenti, con un’agenzia delle politiche pubbliche che delinei una cornice unitaria del sistema di partecipazioni, a partire dai settori strategici.
Quest’ultimo obiettivo ci porta al cuore della questione che è di fronte a noi, e che qualifica un pezzo importante della nostra cultura politica: il tema dello Stato e del suo ruolo nella dinamica economica. Dopo trent’anni di ubriacatura neo-liberista dobbiamo dirlo a chiare lettere: è il tempo di un nuovo Stato imprenditore, programmatore, innovatore, coordinatore degli investimenti pubblici e privati. Un soggetto che si collochi virtuosamente dentro il contesto europeo. La fase, gli elementi oggettivi di cambiamento e avanzamento che contraddistinguono la risposta europea alla crisi, ci consentono di farlo, a partire dal Recovery plan, tutto da scrivere, necessario per implementare il programma di trasferimento di risorse proposto dalla Commissione europea.
Dentro questa stagione nuova, l’Italia e la sinistra italiana devono essere soggetti catalizzatori dei processi in corso, anche nella direzione di una riforma di quegli elementi fondamentali della governance e delle regole europee (golden rule, armonizzazione delle regole sui capitali e sul fisco, riforma della Bce) che oggi sono più indispensabili di ieri.
Il contenitore, infine. La crisi e l’estemporaneità dei movimenti succedutisi in questi ultimi anni (si pensi, da ultimo, al movimento delle Sardine) confermano che la politica ha bisogno di strutture organizzate e permanenti, ha bisogno dei partiti. Non certo di quelli che ci sono oggi. Ma di una dimensione strutturata di pensiero e iniziativa, popolare (non élitaria) e democratica (non verticistica). Manca ancora un soggetto politico, un partito, compiutamente in grado di incamminarsi in questa direzione. Esistono un Pd fragile e disorientato e tante forze di cultura radicale e riformista prive della necessaria massa critica e del necessario consenso. Occorre a nostro avviso – lo abbiamo scritto anche nel documento finale della nostra Direzione – avviare rapidamente una nuova fase costituente di una unica forza laburista, del socialismo democratico, radicale e di governo. È questo il tempo delle grandi ambizioni.