di Franco Belci del 19/11/2023
Siamo travolti, quotidianamente, dalle terribili immagini della guerra tra Israele e Hamas, cui corrispondono innumerevoli prese di posizione sulla stampa e nel web. Tra di esse, mi ha colpito l’invito agli intellettuali a “schierarsi” e l’accusa di “ignavia” rivolta a chi non si esprime pro o contro le parti in causa. Il riferimento sembra legato, consapevolmente o meno, a una concezione di ispirazione gramsciana: cioè a chi, in un’area politica definita ideologicamente, dovrebbe costituire un riferimento culturale. Un’ accezione in realtà sbiadita con il venir meno delle ideologie e la trasformazione, quando non il tramonto, delle forze politiche che le hanno interpretate. In questo spazio, povero di orizzonti collettivi, si è fatta strada la modalità del pensiero binario: giusto o sbagliato, vero o falso. E, appunto, di qua o di là. Le convinzioni sono incrollabili e le definizioni irrevocabili. Posizioni articolate, che tengano presente punti di vista diversi o alternativi, vengono liquidate come opportunistiche. E’ una modalità che prescinde dai crinali politici, anzi, talvolta intende configurarsi come “oppositiva” rispetto alla tradizionale bussola destra/sinistra.
Mi pare una strada a fondo cieco. Non intendo teorizzare un’astratta neutralità: ognuno di noi si orienta con le proprie coordinate politiche e culturali. Si tratta piuttosto di costruire un approccio e un linguaggio che si muovano dentro la cornice inedita dei tempi che viviamo, con la cifra della violenza, delle contraddizioni e delle incognite che portano con sé. Dunque, occorre partire dai fatti: l’azione di Hamas, di cui è chiara la natura terroristica, non può essere considerata una “risposta” alle gravi e innegabili prevaricazioni del regime di occupazione radicalizzato dai governi di Nethanyau. Ma, a loro volta, i tragici effetti dei bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza non possono essere giustificati con lo stesso metro. Imboccando la strada dei rapporti causa/effetto nel succedersi degli avvenimenti, ci si impiglia in una catena infinita che finisce per cementare i rispettivi punti di partenza. Naturalmente, non vanno messe da parte le ragioni della Storia e della geopolitica, ma occorre prendere atto che la natura e l’intensità degli eventi ci hanno precipitato in una condizione che rende insufficienti i consueti strumenti di analisi e di giudizio. La grande partecipazione alla manifestazione promossa dieci giorni fa a Trieste dal vescovo, dal rabbino capo e dal presidente della comunità islamica, mi pare legata anche a una diffusa volontà di uscire dalle contrapposizioni. La maggioranza dei partecipanti erano credenti che hanno affidato il proprio appello per la pace al silenzio della preghiera. Ma vi erano anche
molti non credenti, che, stanchi della logica delle appartenenze, chiedono risposte concrete e immediate alla tragica situazione delle popolazioni. Certo, la pace, e una soluzione equa e stabile per il dopoguerra, sono prospettive da alimentare in ogni caso. Nel frattempo però occorrerebbe insistere sul terreno umanitario, a cominciare dalla richiesta di fermare gli attacchi agli ospedali di Gaza, bombardati, privati di luce e acqua e impossibilitati a curare feriti e malati o garantire parti e assistenza alle madri e ai neonati.
Il sospetto che negli edifici possano nascondersi dirigenti di Hamas non può costituire una variabile indipendente rispetto alla vita di chi in quei luoghi cerca salvezza. Le energie andrebbero concentrate su questi temi, piuttosto che dedicate a blindare posizioni pro o contro, che finiscono per esaurire i loro effetti nel dibattito politico. I segni, sempre più inquietanti, dei tempi, dovrebbero indurci, come scrisse Claudio Magris vent’anni fa, “ad accettare l’umiltà di mescolarci alla promiscua confusione quotidiana”.
E’ possibile farlo solo liberando dagli assiomi i percorsi di ricerca e individuando modalità di confronto e di sintesi tra idee e opinioni. Forse, in questo modo, il sostantivo “intellettuale” potrebbe acquistare un senso nuovo, non più generico e non solo di parte.