di Cosimo Risi del 19/5/2022
Epilogo sui Luoghi Santi.
Nel Trecento i protagonisti della Sesta Crociata furono scomunicati e biasimati dalle rispettive Parti per avere concluso l’intesa diplomatica sui Luoghi Santi. Nel Novecento una sorte più tragica colpisce Anwar al-Sadat, il Presidente d’Egitto che conclude gli Accordi di Camp David con Israele, e Yitzhak Rabin, il Primo Ministro d’Israele che conclude gli Accordi di Oslo con l’Autorità Palestinese. Ambedue sono assassinati da connazionali che contestano i piani di pace in quanto tradimenti, per gli estremisti il solo possibile accomodamento con il nemico è annientarlo. Eppure nessuno dei due trattati affronta specificamente il nodo di Gerusalemme. Il caso della Città Santa è rinviato a successive trattative con l’erigendo Stato di Palestina.
Dalla Conferenza di Pace di Madrid (1991) in poi le Parti implicate nel processo di pace in Medio Oriente menzionano i Luoghi Santi di Gerusalemme solo in alcuni documenti. Nel 1967 le Nazioni Unite adottano la risoluzione 242 per gettare le basi del tema subito dopo la Guerra dei Sei Giorni. La risoluzione non menziona i Luoghi Santi, malgrado che Israele abbia appena unificato la Città sotto il proprio controllo. Celebre è la fotografia che ritrae Moshe Dayan, il Ministro della Difesa, e Yitzhak Rabin, il Capo di Stato Maggiore, entrare in Gerusalemme a piedi per rispettare la sacralità del luogo.
Neppure gli Accordi di Camp David fra Egitto e Israele (1978) menzionano il punto. Che è invece oggetto di una lettera interpretativa di Sadat: “All people must have free access to the City and enjoy the free exercise of worship and the right to visit and transit the holy places without distinction or discrimination. The holy places of each faith may be placed under the administration and control of their representatives”.
Lo stesso linguaggio dilatorio segna gli Accordi di Oslo (1993), o anche accordi provvisori fra Israele e Autorità Palestinese, sotto il titolo di “permanent status negotiations”. I punti da definire circa lo status permanente dei rapporti bilaterali riguardano: “Jerusalem, refugees, settlements, security arrangements, borders, relations and cooperation with other neighbours, and other issues of common interest”. Per la prima volta Israele accetta di includere Gerusalemme nell’agenda negoziale con i Palestinesi e, implicitamente, definirne lo status quando lo Stato di Palestina sarà eretto. Un modo indiretto per riconoscere che il caso di Al-Quds, la Città Santa, non è di esclusiva pertinenza d’Israele, anche se la Knesset la dichiara capitale unica e indivisibile dello Stato. E’ anche la via d’accesso alla formula sacramentale due popoli – due stati.
Numerose sono le varianti: Gerusalemme come capitale di due Stati, Israele e Palestina; Gerusalemme città internazionale per il libero accesso dei pellegrini delle tre religioni monoteiste; Gerusalemme indivisibile capitale del solo Stato d’Israele. Sulle formule impazza il gioco diplomatico e si consumano gli scontri sul terreno. La maggioranza dei paesi conserva l’Ambasciata a Tel Aviv, laddove fu proclamato lo Stato d’Israele nel 1948, in attesa che lo status di Gerusalemme sia definito dalle Parti. Fra i pochi che l’hanno trasferita a Gerusalemme sono gli Stati Uniti. La decisione dell’Amministrazione Trump è confermata dall’Amministrazione Biden.
La Spianata delle Moschee diventa il luogo di “passeggiate” di dirigenti israeliani che intendono rimarcare il diritto degli Ebrei ad accedervi. Nel 2000 Ariel Sharon, allora a capo dell’opposizione alla Knesset; nel 2023 Itamar Ben-Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale nel Governo Netanyahu. Quella che una parte qualifica come rivendicazione di libertà di movimento, è avvertita dalla controparte come usurpazione di sovranità. Di qui la scia di proteste e sommosse fino all’Intifada.
Lo Status quo diventa il passe-partout diplomatico per i Luoghi Santi. La nozione è così ambigua che ciascuna parte la interpreta secondo convenienza. Preme congelare la situazione, lo status quo appunto, in attesa di un avvenire incerto. Incerta è infatti la soluzione due popoli – due stati e, di conseguenza, l’ammissione di Gerusalemme a capitale di Israele e Palestina.
E’ significativo l’Accordo Fondamentale fra Israele e la Santa Sede (1993): “The State of Israel affirms its continuing commitment to maintain and respect the “Status quo” in the Christian Holy Places to which it applies and the respective rights of the Christian communities thereunder. The Holy Sea affirms the Catholic Church’s continuing commitment to respect the aforementioned “Status quo” and the said rights”.
Sulla stessa linea è la Dichiarazione di Washington (1994), firmata da Israele e Giordania riguardo ai Luoghi Santi dell’Islàm: “Israel respects the present special role of the Hashemite Kingdom of Jordan in Muslim holy shrines in Jerusalem. When negotiations on the permanent status will take place, Israel will give high priority to the Jordanian historic roles in these shrines. La Dichiarazione sottolinea il rispetto che si deve allo staus quo / modus vivendi on the Har Ha Bait / Haram Al Sharif. Le Parti s’impegnano a garantire “freedom of access to places of religious and historical significance”, nonché a promuovere “interfaith religious relations among the three monotheistic religions, with the aim of working towards religious understanding , moral commitment, freedom of religious worship, and tolerance and peace”.
La Dichiarazione non chiarisce se Israele riconosca al Regno Hashemita una sorta di droit de regard sui Luoghi Santi in generale o, più verosimilmente, solo su quelli sottoposti alla musulmana Waqf, l’organizzazione giordana di vigilanza sul Sacro Recinto.
Lo Status quo è presente nella lettera che il Ministro degli Esteri di Israele scrive all’omologo di Norvegia nel 1993: “the palestinian institutions of East Jerusalem are of great importance and will be preserved.” Alle istituzioni palestinesi Shimon Peres riconosce l’essenziale compito di preservare i luoghi santi della Cristianità e dell’Islàm.
Il che alimenta la divergenza fra Giordania e Autorità Palestinese circa la titolarità della Waqf. Se un giorno Gerusalemme diventa la capitale dello Stato di Palestina, spetta a questo la responsabilità sul Recinto, la Giordania non avrebbe più il titolo ad esercitarla in supplenza.
A distanza di secoli dalla Sesta Crociata, il dossier Luoghi Santi continua ad essere oggetto di contrasti. Federico II rispose che meritava di essere affrontato con la transazione ed all’insegna della mutua convenienza: meglio un compromesso al ribasso che un conflitto al rialzo. Gli attori di oggi cercano ancora la formula giusta.