di Cosimo Risi del 13/5/2023
La situazione in Oriente sta cambiando. Dopo la perdita di Damietta (Dumyat, Egitto) nel 1221, il Sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil entra in conflitto con il fratello al-Malik al-Muazzam, che da Damasco mira ad espandere i domini in Palestina appoggiandosi al turco Galal al-Din. Al-Kamil teme di finire nella tenaglia della spedizione crociata da una parte e dell’aggressione del fratello dall’altra. Sceglie l’opzione meno rischiosa, quella dell’Imperatore, è più lontana nello spazio e meno minacciosa sul campo. Manda presso Federico, in veste di ambasciatore, l’emiro Fahr al-Din per sondare se egli sia pronto a contenere l’avanzata di al-Muazzam. In cambio cederebbe alcune città di Palestina. I due Sovrani si scambiano doni e si riservano di formalizzare l’intesa in una sorta di patto.
La traversata verso la Palestina è lunga. Non si percorrono più di cinquanta miglia al giorno, occorrono varie tappe, la più lunga è a Cipro, dove Federico sosta per riprendere il controllo dell’isola, anch’essa parte dell’Impero ma oggetto di contestazione da parte dei notabili locali. La scomunica non ha effetti dirompenti. Fra Damasco e Beirut, Federico riceve gli onori del rango. Un cronista annota che Templari e Ospedalieri si inginocchiano al suo cospetto: è il liberatore dei Luoghi Santi e questo importa.
La lenta marcia di avvicinamento consente a Federico di intrattenere nuove manovre con Malik al-Kamil. Scambio di delegati e doni, scambi di promesse di non belligeranza da parte di Federico e di cessione di città da parte di al-Kamil. Le trattative proseguono così a lungo che il Re d’Egitto comincia a perdere interesse al loro esito. Ritiene di adempiere alla promessa con la sola cessione temporanea di Gerusalemme. Si trasferisce dal quartiere generale di Nablus a Harbiyah (Gaza) per allontanarsi dalle truppe dell’Imperatore.
Federico freme per la riconquista pacifica dei Luoghi Santi e intende consolidare gli impegni negoziali. Sbarca a Jaffa, periferia di Tel Aviv, e comincia a riedificare il castello. Scambia altri messi con al-Kamil per ottenere Gerusalemme in pace e tranquillità. I contatti proseguono a ritmo serrato e in segreto. Al-Kamil finisce per accettare i termini del patto. Federico e Fahr al-Din firmano gli accordi finali il 18 febbraio, davanti ad autorevoli testimoni e dignitari.
Gli accordi prevedono: una tregua di dieci anni, cinque mesi e quaranta giorni, il massimo consentito dagli usi musulmani; la cessione di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e dei villaggi lungo la via per Gerusalemme, parte del distretto di Sidone e Tiro sulla costa; il diritto dell’Imperatore di fortificarle. In cambio l’Imperatore riconosce la sovranità musulmana sul recinto sacro della Moschea al-Aqsa e della Cupola della Roccia (la Spianata delle Moschee), con la facoltà per i cristiani di accedervi per le preghiere. A nessun musulmano sarà vietato l’ingresso a Betlemme. I residenti a Gerusalemme conserveranno il loro status. Un qadi, un magistrato, sarà chiamato a vigilare. I prigionieri di guerra catturati a Damietta e altrove saranno liberati.
“Il giorno 17 del mese di marzo, in quella domenica in cui si canta “Sii lieta Gerusalemme per questo solenne giorno, e festeggiate tutti, voi che la amate”, accadde ciò: lo stesso imperatore e tutto l’esercito dei cristiani entrarono gioiosamente nella città di Gerusalemme” – così il Breve Chronicon di un ignoto membro della spedizione imperiale.
Altri cronisti scrivono che Federico entra in città scalzo, da penitente, pellegrino fra i pellegrini. Lo stesso Federico nelle Constitutiones così descrive l’ingresso: “Il giorno sabato 17 marzo, con grande gioia dell’esercito cristiano, siamo entrati nella città santa di Gerusalemme e subito, da imperatore cattolico, abbiamo visitato con reverenza il sepolcro del Dio vivo; il giorno successivo abbiamo portato lì la corona a onore e gloria del Sommo Re”.
L’umiltà del contegno, unita al rapido successo dell’impresa, gli fa ritenere che cadono i motivi della scomunica. A capo di un esercito che qualifica “cristiano”, egli può essere riammesso nella comunità da cui è stato allontanato da una ingiusta decisione. Il Patriarca di Gerusalemme e il Pontefice romano non sono dello stesso avviso. L’atteggiamento dell’Imperatore è giudicato irriverente, tracotante, anticristiano, eretico. Il capolavoro diplomatico che egli vanta è in realtà un cedimento alle ragioni dei musulmani. I Luoghi Santi non sono liberati in via definitiva, al massimo se ne consente l’accesso ai pellegrini in via temporanea.
A carico di Federico interviene anche il racconto circa l’incoronazione, o auto-incoronazione, nel Santo Sepolcro. Il gesto, raccontato maliziosamente dal Patriarca Geroldo, ne aggrava il profilo di uomo tracotante ed eretico. Solo il Pontefice può incoronare il Sovrano, altre formule deviano dall’ortodossia dei rapporti fra Chiesa e Impero. La scomunica rimane.
Le cronache arabe danno conto del rispetto di Federico per l’Islàm. Scortato dal qadi di Nablus, egli visita il sacro recinto, ammira le costruzioni, tenendo l’accompagnatore per mano sale i gradini della Santa Roccia, discende verso al-Aqsa. Là trova un prete con il Vangelo in mano e lo rimprovera: “Che nessuno di voi osi esorbitare dal posto che gli spetta!”. In realtà il suo è più un interesse per le architetture che per la religione in quanto tale, gli preme che i rispettivi spazi siano tutelati senza ingerenze esterne.
Federico è consapevole della fragilità dell’intesa: non tanto per la durata poco più che decennale, quanto per l’insufficiente deterrenza che i crociati possono esercitare in Terra Santa. Essi sono in definitiva dei pellegrini armati di stanza in Europa, i musulmani sono abitanti del luogo, il loro vantaggio alla distanza è incolmabile.
Il Sultano ordina ai muezzin di non innalzare il richiamo alla preghiera per rispetto dell’augusto ospite. Federico si risente: è giusto che i musulmani continuino le loro usanze, come farebbero i cristiani con le campane delle chiese se il Sultano si recasse un giorno in Italia. Applica il ius loci agli usi religiosi: ciascuno può praticarli liberamente in patria e fuori, non devono esserci mutue interferenze.
Le sue aperture all’Islàm durano pocoin Terra Santa e non gli procurano la benevolenza del Pontefice. Questi trova nel suo atteggiamento la pericolosa inclinazione al sincretismo, l’altrettanto pericolosa confusione fra fedeli e infedeli. Un cronista arabo annota infatti che Federico rimprovera al-Kamel: “Hai sbagliato nell’agir così [vietare il richiamo del muezzin], il mio maggiore scopo nel pernottare a Gerusalemme era di sentire l’appello alla preghiera dei muezzin e la loro lode a Dio durante la notte”.
L’interpretazione autentica del suo pensiero viene dallo stesso Federico: è la curiosità, scientifica ed antropologica, che lo spinge a conoscere e descrivere l’aspetto delle cose come esse appaiono. Una sorta di empirismo ante litteram. Scrive nel De arte venandi cum avibus: “manifestare ea que sunt sicut sunt”. Costruisce egli stesso il monumento di un uomo fuori dal comune, animato da una smisurata sete di conoscenza, tale da portarlo oltre i limiti della cultura corrente.
La scomunica gli viene nuovamente notificata dal Patriarca di Gerusalemme e dall’Arcivescovo di Cesarea. Scrive Ermanno di Salza nelle Constitutiones: “Il giorno dopo, di lunedì, venne l’arcivescovo di Cesarea inviato dal patriarca, il quale pose come interdetto la chiesa del Santo Sepolcro e tutti i luoghi santi. Per la qual cosa tutto l’esercito rimase fortemente turbato e indignato contro la Chiesa perché non chiarì con alcuna motivazione evidente perché lo avesse fatto”.
Scrive Eric Cline (Gerusalemme assediata, Torino, 2017): “Ibn Wasil [cronista arabo] descrive un quadro in cui le questioni trattate assomigliano in maniera considerevole a quelle oggi prevalenti nel confronto tra gli israeliani e l’Autorità Nazionale Palestinese… Fu una delle poche volte in cui Gerusalemme cambiò di mano senza spargimenti di sangue… i Crociati considerarono questo Trattato [di Jaffa] e l’acquisizione di Gerusalemme una grande vittoria. Per i musulmani in tutto il Medio Oriente, invece, fu una vera e propria catastrofe, e in varie parti del mondo musulmano al-Kamil venne fatto oggetto di disprezzo in quanto traditore”.