di Davide Strukelj del 12/5/2023
Da 7 anni ascoltiamo gli interventi del Sindaco di Monfalcone durante i consigli comunali, le lunghe dirette sui social e nei discorsi pubblici.
Molto spesso, ma forse bisognerebbe dire sempre, gli argomenti che vorrebbero dimostrare l’eccellente amministrazione e i grandi risultati raggiunti puntano sugli stessi elementi caratterizzanti l’azione politica.
Questi sono la riduzione delle imposte e dell’indebitamento, gli ingenti fondi pubblici acquisiti e le opere pubbliche realizzate (o più spesso da realizzare) per il miglioramento della città.
In buona sostanza, nella narrazione di chi ci amministra, mentre fino al 2016 i cittadini di Monfalcone avrebbero vissuto immersi in un medioevo di desolazione e immobilismo, negli ultimi sette anni la città avrebbe visto un concreto e straordinario miglioramento dal punto di vista fiscale e civile.
Andiamo con ordine.
Circa l’indebitamento derivante dalla sottoscrizione di nuovi mutui valgono almeno due considerazioni.
La prima è di carattere contestuale. Sappiamo bene infatti che dal 2016 ad oggi sono cambiate molte cose relativamente alla gestione amministrativa e finanziaria degli enti locali, valga a solo titolo di esempio il superamento del cosiddetto patto di stabilità interna che ha permesso (anche) ai comuni di spendere risorse finanziarie già “in cassa” ma fino ad allora non utilizzabili. Ma sappiamo altrettanto bene che a seguito delle emergenze degli ultimi anni, e delle conseguenti misure economiche di supporto, e fino al successivo PNRR, gli enti locali hanno potuto contare su enormi quantità di finanza straordinaria; uno scenario che per i valori in gioco non si era mai visto prima nella storia del Paese.
Viene da sé che, a fronte di tale entità di contributi, ai comuni non è certo servito contrarre nuovi mutui, mentre quelli esistenti, per la natura stessa del loro piano di ammortamento, hanno progressivamente diminuito il loro valore residuo o si sono già estinti.
È altrettanto evidente che il minore fabbisogno di risorse economiche per il pagamento delle rate dei mutui già chiusi ha permesso agli enti di disporre di maggiori avanzi di gestione da destinare, volendo, anche alla riduzione delle imposte locali.
Ora, diamo sicuramente merito a chi ha ottenuto i finanziamenti, che non è mai semplice, ma notiamo che questa modalità di gestione e i risultati conseguenti non sono una esclusiva di Monfalcone, sono bensì una tendenza piuttosto diffusa a livello nazionale. Per averne riprova basta navigare un po’ in rete sui siti istituzionali.
Passando alle opere pubbliche, vale un discorso consequenziale. Ovvero, se togliamo le opere di manutenzione (che in verità si sono sempre fatte…) e quelle derivanti dai progetti finanziati in via straordinaria grazie a contributi derivanti dagli enti sovraordinati (come ad esempio le scuole) … Beh, bisognerebbe dire che la città è di fatto rimasta più o meno com’era! Il piano regolatore, la viabilità, lo sviluppo del centro, i rioni, il piano del commercio, insomma, dal punto di vista strutturale, Monfalcone non è cambiata poi molto: qualche rotonda costruita dai supermercati, un po’ di recinti, telecamere e qualche metro di pista ciclabile… Poco di più, visto che la ripavimentazione della piazza e la cementificazione del porticciolo devono ancora concludersi.
Prima delle conclusioni, una piccola nota di sintesi sull’indebitamento pro capite che viene spesso citato dal nostro Sindaco. Sappiamo bene che grossa parte della finanza straordinaria introdotta in seguito all’emergenza COVID è a debito. Questo significa che l’indebitamento pro capite dei monfalconesi sarà certamente diminuito per quanto attiene ai mutui del Comune, ma tale diminuzione sarà più che compensata dall’indebitamento generale dello Stato… In sostanza, i soldi che stiamo spendendo per le opere pubbliche non derivano dai mutui del Comune ma dai debiti contratti dall’Italia. Alla fine dovremo comunque rimborsarli.
Veniamo ora ad alcune conclusioni.
Secondo la narrazione di chi governa Monfalcone, la nostra città sarebbe diventata un’oasi di felicità. I grandi lavori, gli straordinari contributi, il turismo, il lavoro, l’economia, la cultura … Insomma, un dieci e lode su ogni fronte.
Ma è davvero così?
La prima considerazione (derivata dai dati).
Monfalcone si sta spopolando. E sì, perché al netto degli immigrati (che arrivano in città esclusivamente in cerca di lavoro, spesso poco pagato e poco qualificato), gli “autoctoni” preferiscono andare a vivere altrove e comunque fanno pochi figli. In altre parole (e nonostante tutto…) la città parrebbe essere poco attrattiva, se non per il lavoro che offrono la cantieristica navale e le altre industrie insediate.
C’è anche da aggiungere che le rilevazioni statistiche confermano questa impressione. Ad esempio Monfalcone ha un indice di vulnerabilità sociale e materiale preoccupatemene alto (il secondo in Regione); ad esempio i redditi pro capite sono molto bassi (a conferma della tipologia di offerta lavorativa media); ad esempio l’indice di benessere equo e sostenibile elaborato dall’ISTAT ci dice che la provincia di Gorizia naviga nella metà bassa della classifica nazionale, e sappiamo bene che su questo tipo di dati quando la Provincia dispera Monfalcone piange.
Potremmo proseguire, ma per ora ci pare già troppo.
Seconda considerazione (derivata dai commenti dei cittadini).
In questi ultimi anni la nostra città è spesso finita nei servizi giornalistici e televisivi nazionali. Per quali argomenti? Beh, se togliamo qualche cerimonia per una nuova nave, quasi sempre per le sue problematicità e criticità. In questi servizi abbiamo visto i nostri concittadini “autoctoni” (cioè quelli solitamente coccolati dalla propaganda di chi governa Monfalcone) che si lamentano del degrado, dell’immigrazione, dell’insicurezza… Abbiamo visto monfalconesi rassegnati, insofferenti, sconsolati. Addirittura piangenti.
E questo vale anche nella chiacchiera da bar: si “brontola” costantemente per la situazione economica e sociale della città.
Nelle sue molte dirette e interventi il Sindaco ha sempre confermato e rinforzato questa visione (ahimè!).
E allora veniamo alla conclusione, che poi è una domanda.
Viste le premesse e i risultati ottenuti dopo sette anni, non è che la (minima) diminuzione delle tasse e dell’indebitamento, gli ingenti fondi reperiti e la ripavimentazione della piazza non abbiano per nulla migliorato la vita dei nostri concittadini?
Non è che forse si sarebbe dovuto lavorare su altro anziché spendere vagonate di euro per cementificare il punto più a nord del Mediterraneo (che peraltro è tale da diverse migliaia di anni)?
Insomma, in un momento storico così straordinario, anche in virtù delle enormi disponibilità finanziarie, la politica al governo ha davvero messo in campo le migliori strategie e le scelte più utili alla nostra città?
Noi abbiamo un sospetto, piuttosto fondato, ma è giusto che ogni monfalconese, autoctono o neo-arrivato, si faccia la sua opinione. Sperabilmente dopo aver valutato con attenzione quali siano i problemi irrisolti e quali i risultati davvero conseguiti per il benessere dei cittadini e lo sviluppo della città.