di Davide Strukelj del 12/5/2023
In questi ultimi tempi si sta molto dibattendo circa l’ingresso dell’intelligenza artificiale nella vita di tutti noi. Va detto che la tecnologia che oggi è disponibile on line e che fa molto discutere (ChatGPT e prodotti simili, per intenderci), è solo una minima parte della cosiddetta AI (Artificial Intelligence) che ci circonda. Sappiamo bene infatti che quasi tutta la nostra attività in rete e non solo è monitorata e gestita da sistemi intelligenti di analisi e gestione dei dati. Ad esempio, tutti sanno che se si cerca in rete un volo per una certa località da quel momento si viene bombardati di pubblicità mirata che riguarda la nostra meta, i collegamenti aerei, gli alberghi e così via. Sappiamo anche che ogni volta che accediamo ai Social veniamo micro-taggati in base alle nostre preferenze, al tempo di permanenza sui singoli post, ai contenuti, alle interazioni eccetera. Insomma, intorno alla nostra vita si sviluppa un cosmo di informazioni che serve e definirci, comprenderci e spesso indirizzarci e indurci in specifici comportamenti. Tutto ciò è guidato da sistemi intelligenti di gestione e interpretazione dei dati.
Perché dunque d’un tratto l’intelligenza artificiale ci dà così tanto da pensare?
Facciamo un passo indietro. Talvolta siamo portati a pensare che l’intelligenza sia un processo esclusivamente umano, o meglio che altre forme di intelligenza presenti sul nostro pianeta siano comunque molto inferiori per capacità, tanto da meritare la nostra sorpresa ogni volta che ne scorgiamo degli esempi. Spesso si dice che qualche comportamento animale evidenzi delle forme di intelligenza o che alcune specie abbiano la capacità di sviluppare alcuni processi simili al pensiero umano.
Questa particolare attitudine, l’intelligenza umana, ci appare dunque una sorta di esclusiva di cui disponiamo solo noi, e questo, in qualche misura, ci rassicura molto, ma nasconde anche delle preoccupazioni. Eh sì, perché da quanto si legge, parrebbe che il genere umano sia molto impensierito di dover condividere questa capacità con altri, e forse questa inquietudine non è nemmeno tanto insensata.
L’essere umano, grazie alle sue straordinarie capacità, è diventato l’indiscutibile “padrone” del nostro pianeta. Il nostro predominio è incondizionato: possiamo decidere di fare della nostra Terra, delle altre specie e dell’ambiente che ci circonda tutto ciò che vogliamo, senza contradditorio, senza dover dare spiegazioni ad alcuno se non a noi stessi. E questa non è davvero una cosa da poco. Provate a immaginare come sarebbe se dovessimo discutere con un’altra specie, magari dotata di una intelligenza diversa dalla nostra, quali siano i destini delle nostre vite, o se dovessimo decidere insieme ad altri a chi spetterebbe l’utilizzo dello spazio, delle risorse, oppure a quale forma di etica dovremmo obbedire, oppure a chi competerebbe di “comandare”. Diciamo pure che questa circostanza in passato è probabilmente già accaduta … ma, in quella occasione i livelli culturali, molto più bassi del nostro attuale, hanno fatto sì che la selezione naturale potesse operare ancora indisturbata. Insomma nella nostra competizione con l’uomo di Neanderthal e con gli altri ominidi siamo usciti vincenti non tanto per la conoscenza o per l’intelligenza che (forse) ci avvantaggiava, ma perché più adatti o più numerosi, oppure per un fatto del tutto casuale, come una nuova malattia selettiva o un cambiamento climatico a noi favorevole.
In sintesi, credo che l’idea di doverci confrontare con un’altra intelligenza e cultura ci dia diverse preoccupazioni anche perché non ci siamo assolutamente abituati. Forse, però, si tratta anche del timore di perdere il monopolio o di confrontarci con l’altro. Forse è la paura di non essere più gli unici “signori del mondo”. Sono considerazioni interessanti, anche perché non possiamo essere certi che la nostra sia l’unica forma di intelligenza possibile… anzi.
Partiamo dalla considerazione che la nostra intelligenza ha prodotto una cultura basata su un lungo processo costruito per fasi, alcune delle quali potrebbero essere sintetizzate come segue.
Lo sviluppo di un linguaggio articolato che permette di comunicare e di pensare in modo organico e preciso.
La conseguente formazione di un pensiero razionale con la capacità di astrazione e analisi.
La comparsa dell’autocoscienza come pensiero critico rivolto a sé stessi.
La distinzione del bene dal male riferito alla propria persona e proiettato anche nel tempo futuro.
L’empatia verso gli altri esseri umani.
L’elaborazione di un bene e di un male universali.
L’empatia e il senso di responsabilità verso le alte specie e l’ambiente.
Secondo questo processo, la nostra conoscenza si è formata in millenni di sviluppo del pensiero razionale, spirituale e artistico. Questi tre ambiti, variamente mescolati e sovrapposti, hanno prodotto il nostro mondo, nel quale conoscenze scientifiche, sensibilità artistiche, spiritualità e senso del metafisico si sono via via alternati e integrati fino ad arrivare ad oggi e (probabilmente) progredire ulteriormente.
Bisogna anche ricordare come lo schema secondo il quale si sviluppa la nostra conoscenza collettiva è basato sul processo uno-a-molti. In altre parole, l’intuizione di un singolo e le sue applicazioni divengono patrimonio della moltitudine. Questo sviluppo vale per tutti i domini del nostro essere intelligenti.
Ora, possiamo affermare con un buon livello di sicurezza che oggi, sul nostro pianeta, non ci sono altri “viventi biologici” che nel medio e breve periodo potrebbero andare in contro ad uno sviluppo di intelligenza e conoscenza come quello capitato alla specie umana.
Quello che potrebbe accadere, invece, è che altri “esseri”, non viventi in termini biologici, siano nelle condizioni di sviluppare intelligenze e conseguenti conoscenze.
Un processo di tale portata potrebbe produrre risultati finali molto diversi da quelli raggiunti da Homo sapiens, e questo per svariati motivi.
Il primo motivo che mi viene in mente riguarda la velocità con la quale una nuova conoscenza verrebbe a formarsi. La disponibilità di tempo (che per l’intelligenza artificiale corrisponde a 24 ore su 24 e 7 giorni su 7), l’assenza di fattori di disturbo (i computer non soffrono di “distrazioni”, ad esempio), la capacità di trasferimento delle informazioni (in tempo reale per la AI, mentre per noi, per lungo tempo, non è stato così…) sono tutti elementi che fanno pensare ad uno sviluppo rapidissimo, migliaia e forse milioni di volte più veloce di quello capitato a noi. Da questo punto di vista, se il nostro processo è durato diverse migliaia di anni, a una rete di AI opportunamente costruita potrebbe bastare davvero poco, pochissimo tempo per sviluppare una qualche forma di pensiero evoluto.
Il secondo aspetto da considerare riguarda la tipologia di processo. In altre parole, se per noi è valso (e tuttora vale) il sistema uno-a-molti, per una rete di AI potrebbero valere sistemi molti-a-molti o molti-a-uno, e strutture di questo tipo potrebbero produrre risultati finali anche radicalmente diversi. A questo bisogna aggiungere che la nostra conoscenza attuale è frutto di una lunga mediazione di (almeno) tre ambiti diversi, che sono la razionalità, la spiritualità e l’arte. Non è assolutamente scontato che lo stesso debba avvenire per altre forme di intelligenza e conseguente conoscenza, con dei rischi che è forse facile immaginare.
Il terzo motivo di attenzione consiste nel considerare che non necessariamente una nuova conoscenza dovrebbe passare per gli step percorsi dalla nostra. In altre parole, una volta formato un linguaggio e costruita una comunicazione e una forma di pensiero (cose che probabilmente sono già accadute o stanno accadendo in questi nostri tempi), non è detto che la nuova intelligenza rivolga a sé stessa le sue attenzioni oppure che, una volta assunta la coscienza di sé stessa, sviluppi conseguentemente una distinzione tra il bene e il male (simile alla nostra) e/o che si dedichi all’empatia verso i suoi simili o verso gli altri, decidendo di conseguenza cosa è giusto e cosa non è giusto fare per sé e per gli altri. In ogni caso, anche decidesse di intraprendere questi percorsi per nulla banali, non è assolutamente scontato che il punto di arrivo finale debba essere lo stesso raggiunto da noi. …. Con la considerazione che tra gli “altri” a cui la nuova conoscenza dovrebbe rivolgere le attenzioni, molto probabilmente, ci sarebbe anche l’essere umano.
In conclusione, credo che quando maneggiamo forme di intelligenza artificiale dovremmo adottare precauzioni davvero molto alte e scelte molto ponderate, anche perché, talvolta, il creato non corrisponde esattamente ai progetti del creatore … e non è detto che il creatore possa sempre intervenire per porvi rimedio.