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Mai più

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di Andrea Bellavite del 14/1/2023

“Mai più”. E’ l’espressione che ricorre nel corso delle celebrazioni legate alla Giornata della Memoria del 27 gennaio. Come tutti sanno, la data ricorda la liberazione del campo di Auschwitz, il 27 gennaio 1945 e, con essa, l’orrore di tutte le tragedie perpetuate dal nazismo e dal fascismo nel folle disegno di sterminio di milioni di ebrei, come pure degli appartenenti alle comunità rom, dei portatori di particolari disabilità, degli omosessuali, dei testimoni di Geova e di tante altre categorie di persone. Non sempre si è elevato questo grido unanime, “mai più”, la Giornata della Memoria è stata istituita soltanto nel mese di novembre del 2005, in occasione del sessantesimo anniversario dell’avvenimento.

Sessanta anni sono tanti e la “Giornata”, caratterizzata da lodevoli iniziative finalizzate a rinfocolare l’orrore e l’impegno a contrastarlo, rischia di trasformarsi, di anno in anno, in un rito. Innumerevoli dibattiti, trasmissioni televisive e film, consentono di portare al centro dell’attenzione quello che può essere definito il male assoluto. A volte c’è la possibilità di cadere in una retorica “virtuale”. Ciò che scorre sui teleschermi o nei milioni di post sui social, può creare una sorta di barriera tra la realtà e la sua rappresentazione. Si assiste a una specie di fiction, dove ci si trova proiettati in un’altra dimensione, diversa da quella ordinaria, nella quale ci si sente compartecipi, si provano emozioni e sentimenti suscitati soprattutto dai sensi della vista e dell’udito (attenzione, non del tatto dell’olfatto e del gusto). Quando si spengono gli schermi o termina la musica, tutto torna come prima, proprio come accade quando si guarda un film o si legge un romanzo avvincente. In questo modo ciò che dovrebbe essere un monito all’umanità, si riduce alla condanna radicale di mostri malvagi e crudeli che, naturalmente, sono esistiti ma ormai non esistono più.

Come rendere efficace la Giornata della Memoria? Come far sì che il grido “mai più” non sia mera espressione di una retorica che scaturisce da un consenso talmente unanime da non mobilitare più le coscienze? Forse occorre iniziare prendendo atto che quegli esseri immondi non sono estranei, ma fanno parte della nostra stessa famiglia umana. E’ necessario ricordare che la maggior parte dei tedeschi e degli italiani, nonostante la loro storia, il loro straordinario contributo all’arte e alla filosofia di tutti i tempi e le spesso acclamate “radici cristiane”, hanno esaltato con convinzione Mussolini e Hitler, soltanto pochi si sono opposti alla loro criminosa ascesa al potere. Solo riconoscendo che ciascuno di noi, oggi, potrebbe cadere nella stessa forma di assoluta cecità e non accorgersi di ciò che accade “nel quartiere accanto”, ci si può difendere dalla tentazione della dimenticanza e della complicità.

La Shoah non è stata un meteorite o uno spaventoso evento naturale. E’ stata il frutto di scelte concrete e quotidiane, l’ultima goccia del vaso del razzismo, strumento formidabile di potere gestito da due ideologie perverse che hanno nomi precisi, il nazismo e il fascismo. Sì, anche il fascismo, basti pensare a ciò che Mussolini aveva detto a Pola nel 1920, ben prima della promulgazione delle leggi razziste del 1938: Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava…non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani” oppure al trattamento riservato alle popolazioni autoctone dell’Etiopia o della Libia durante le sciagurate imprese coloniali.

Ciò vale anche per il presente. E‘ difficile urlare il proprio ottimismo, sapendo che dal 1945 a oggi le stesse dinamiche si sono ripetute spesso, in Africa, in America, in Asia, perfino nel cuore dell’Europa durante le guerre balcaniche. La strage dei migranti nel mare Mediterraneo o nei boschi dei Balcani è un esempio eclatante, accompagnata dai crescenti rigurgiti di xenofobia che caratterizzano il redivivo fascismo del nostro tempo. Tra sessanta anni forse la “Giornata della memoria delle vittime nei percorsi dei migranti”, che già si celebra ogni 3 ottobre, diventerà legge degli Stati e tante persone urleranno di nuovo “mai più” e si domanderanno dove eravamo noi, mentre si ripetevano simili tragedie quasi sotto i nostri occhi.

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