di Redazione del 10/04/2022
Il 24 febbraio è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: una guerra che non avremmo mai più pensato di vedere e non avremmo mai voluto vedere e, invece, eccoci qui, attaccati alla Tv o davanti ai giornali, a guardare, a leggere, il tentativo di distruggere di una intera nazione.
Eppure bastava sentire Putin qualche giorno prima, in un discorso allucinato, dire che l’Ucraina non aveva diritto di esistere, di essere – per lui – un’invenzione dei bolscevichi. Ancora in quelle ore autorevoli commentatori garantivano che, mai e poi mai, i russi avrebbero invaso l’Ucraina e che il presiedente americano Biden con i suoi allarmi era un propagandista o, perfino, rimbambito. Invece l’aggressione c’è stata, violenta, e non ha risparmiato i civili. Bambini, donne, vecchi, scuole, ospedali, biblioteche, musei, case; milioni di sfollati ucraini rifugiati un po’ dappertutto in Europa. E poi fosse comuni, di nuovo e ancora in Europa dopo gli orrori della ex Jugoslavia, ritrovate nelle terre riconquistate dagli ucraini dopo i giorni di occupazione russa. Orrori confermati dai satelliti, assieme ai morti per le strade, alle esecuzioni sommarie di civili e i corpi martoriati dalle torture, e poi i saccheggi, con i soldati russi che arraffano di tutto per poi spedirlo casa. Tutto confermato dai più importati organi di stampa mondiale, dalle testimonianze, dalle immagini.
I russi avevano fatto male i loro conti: immaginavano che gli ucraini li avrebbero accolti come liberatori, invece no. Gli stessi cittadini hanno opposto una strenua resistenza, che continua anche nelle zone occupate. Gli stessi ucraini di lingua russa non hanno accolto con i fiori le truppe di Putin. Mosca contava molto sulle divisioni dell’Occidente, sui tanti amici, sull’estrema destra, sui nazionalisti, che ha contribuito a finanziare in questi anni. Invece la condanna dell’invasione è stata unanime e unanime è la volontà degli europei di aiutare Kiev.
Come in ogni guerra la macchina della disinformazione è a pieno regime. Tuttavia centinaia di corrispondenti sono presenti in Ucraina e possono raccontare al mondo cosa accade. Con i soldati russi – invece – c’è un solo giornalista cinese. Il controllo russo sull’informazione è ferreo, da Mosca a Vladivostok i media sono attentamente controllati, i giornalisti non possono nemmeno pronunciare la parola “guerra” ma devono attenersi alla dizione di regime: “operazione militare speciale”. Chi protesta in Russia viene arrestato e raccontare ciò che al regime non piace può costare fino a quindici anni di carcere. I russi, in questi giorni, vivono in un mondo parallelo: dove i soldati di Putin scacciano dall’Ucraina i nazisti, sono accolti con entusiasmo e stanno vincendo la guerra, anzi, l’operazione militare speciale. A Mosca si racconta solo di montature ucraine e occidentali, di salme che si muovono e fosse comuni riempite ad arte, di morti per mano degli stessi occupati.
Purtroppo, oltre le informazioni raccolte sul campo, anche la storia ci racconta che i russi, da Grozny o ad Aleppo, quando si sono trovati in difficoltà hanno fatto terra bruciata, colpendo con violenza e indiscriminatamente ogni obiettivo, anche quelli civili.
Davanti a questo, noi qui discutiamo, legittimamente, se è giusto inviare armi oppure se le ricostruzioni giornalistiche sono affidabili o se le immagini che vediamo siano vere o false. Va tutto bene, è la democrazia, e a Mosca non se lo possono permettere. Tuttavia dovremo partire, prima di tutto, da una considerazione inequivocabile: c’è un paese aggressore, la Russia, e uno aggredito, l’Ucraina. Ci sono città, paesi, villaggi distrutti e cannoni e tank, russi, che li bombardano, mentre non c’è nessun soldato ucraino che invada il suolo russo.
Da questo dobbiamo partire: dalla condanna di chi ha aggredito, e non possiamo nemmeno fingere che abbiamo un altro dovere: aiutare chi viene invaso, chi è vittima di questa aggressione. Aiutarli con uno straordinario sforzo umanitario ma anche inviando loro gli strumenti per potersi difendere. C’è poco da fare: un tavolo di negoziato si potrà aprire solo se i soldati di Mosca verranno fermati sul terreno.
Abbiamo il massimo rispetto delle posizioni pacifiste, sono scelte morali, etiche, importanti, ma oggi – per quanto ci riguarda – proprio chi sta a sinistra non può esimersi dall’aiutare la resistenza degli ucraini.
Dovremmo, infine, una buona volta fare un’analisi onesta di cosa sia la Russia di Putin. Un regime con un fantasma di democrazia, dove non sono ammessi dissenso e libere opinioni. Un Paese di straordinarie risorse depredate dagli insaziabili oligarchi, un Paese di enormi differenze sociali che a Putin e alla sue reggia preoccupano assai poco. Un Paese – infine – con un regime retrogrado e privo di ogni rispetto per le libertà civili, dove le minoranze finiscono in galera e il presidente va a braccetto con le gerarchie ortodosse. Chi pensa alla Russia come qualcosa di solo vagamente socialista deve, evidentemente, smaltire una forte sbornia.
Non ci sono dubbi sul fatto che, tra le tante atrocità dei soldati russi, ce ne saranno alcune commesse dagli ucraini. Alcuni giorni fa, infatti, delle immagini hanno mostrato un battaglione di ucraini uccidere a sangue freddo dei soldati russi fatti prigionieri. Però, mentre a Mosca si nega tutto, su quello specifico caso, il ministro degli Esteri ucraino ha affermato che ci sarà un’inchiesta e i colpevoli saranno puniti: è una differenza non da poco.
Odiamo la guerra e la violenza e auspichiamo la pace, ma una pace è tale quando c’è giustizia, equità e libertà. La libertà degli ucraini di scegliere che governo avere, di appartenere all’Unione europea, di fare parte dell’Occidente.