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La riscoperta di un’importante testimonianza sulla Shoah

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di Tristano Matta del 18/01/2022

Nel novembre del 2018 ho partecipato ad un interessante convegno storico organizzato dalla Fondation Auschwitz di Bruxelles in occasione del 75° anniversario dell’Aktion Erntefest, operazione conclusiva dell’Aktion Reinhardt.

Quest’ultima è la denominazione in codice che i nazisti dettero alla gigantesca e complessa operazione di sterminio degli ebrei del Governatorato generale, la porzione della Polonia occupata che non era stata annessa al Reich. Avviata alla fine del 1941, l’Aktion venne condotta attraverso la costruzione dei campi di sterminio di Bełżec, Sobibór, Treblinka e Majdanek, nei quali in circa due anni, fino all’autunno del 1943, vennero assassinati nelle camere a gas ossido di carbonio almeno 1,7 milioni di ebrei, in buona parte prelevati dai ghetti in cui erano stati in precedenza rinchiusi. L’intera operazione si svolse sotto il comando e la supervisione del SS Gruppenführer Odilo Globočnik, che la diresse dal suo comando di Lublino, dove risiedeva in qualità di Comandante delle SS e della Polizia e che – com’è ben noto – fu trasferito nell’autunno del ‘43 a Trieste per ricoprire la stessa carica nell’Adriatisches Küstenland.

Dopo la chiusura dell’operazione e l’avvio dello smantellamento dei campi di sterminio, venne ordinata da Himmler l’Aktion Erntefest (Operazione “Festa del raccolto”), che ebbe lo scopo di eliminare gli ultimi ebrei ancora presenti nel ghetto e nei campi di lavoro intorno a Lublino. Essa ebbe luogo a Majdanek, Trawniki e Poniatowa nei giorni 3 e 4 novembre 1943, durante i quali almeno 42mila ebrei, fino a quel momento sfuggiti alle camere a gas in gran parte perché utilizzati come forza-lavoro, trovarono la morte per fucilazione, secondo il “vecchio” metodo seguito dai reparti delle Einsatzgruppen già dal 1941 lungo il fronte orientale.

A distanza di 75 anni da quei crimini, il convegno si proponeva di fare il punto sullo stato delle ricerche che negli ultimi decenni hanno approfondito molti aspetti della complessa vicenda. A questo scopo erano stati invitati studiosi di diversi paesi (Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio) per due intense giornate di relazioni e discussioni. Tra i contributi più interessanti, erano previsti due interventi centrati su aspetti solo apparentemente secondari dell’Aktion Reinhardt, quali gli episodi di rivolta da parte dei deportati e le attività svolte dai nazisti per il mascheramento e la cancellazione delle prove delle uccisioni di massa. Quest’ultimo tema era affidato allo studioso berlinese Jens Hoffman, la cui ricerca sull’Aktion 1005, il nome in codice nazista che designava appunto l’operazione segreta volta a nascondere le tracce dello sterminio attraverso l’esumazione e la cremazione dei corpi delle vittime, è in corso da molti anni ed ha prodotto risultati di grande rilievo. L’assenza della relatrice prevista per il primo dei due interventi aveva tuttavia liberato uno spazio, nel quale gli organizzatori hanno molto opportunamente inserito un contributo di Michael Evans, il nipote australiano di un ebreo sopravvissuto che aveva fatto parte di un kommando operante nell’ambito dell’Aktion 1005  e che era stato costituito proprio in occasione dell’Aktion Erntefest a Majdanek per poi lavorare nella foresta di Borek, presso Chelm. Le due relazioni hanno finito in tal modo per costituire un momento di sintesi straordinario tra i risultati della ricerca scientifica da una parte e il lavoro di ricostruzione di una memoria di un sopravvissuto in ambito familiare, dall’altra.

Per chi – come chi scrive – ha da sempre considerato di grande rilievo il tema del nesso forte tra ricostruzione storica e salvaguardia ed utilizzo delle memorie individuali e familiari, si è trattato di un’esperienza importante e, nell’ambito del convegno, per tutti di un momento altamente significativo. Tanto più se si considera che la testimonianza del sopravvissuto Peter Sedgman/Perec Szechtman  – raccolta nell’ambito di un progetto del Sydney Jewish Museum e dai familiari negli anni ’90 e pubblicata per intero nel 2006 in forma di memoriale col titolo As Far as I Can Remember – era inserita nella cartellina con i materiali fornitaci dagli organizzatori del convegno ed era quindi interamente disponibile all’analisi ed alla lettura dei partecipanti.

Confesso che la sera, al rientro in albergo dopo aver svolto la mia relazione e partecipato al dibattito, ho solo scorso brevemente alcuni paragrafi del memoriale relativi all’Aktion Erntefest per poi, stanco, riporlo.

Rientrato a Trieste, alcuni giorni dopo ho ricevuto da Michael Evans una mail, indirizzata a tutti i partecipanti al convegno, in cui esprimeva la sua gratitudine per l’occasione fornitagli dalla Fondation Auschwitz e formulava l’augurio che i contatti avuti nell’occasione proseguissero. Mi è tornata in mente allora una interessante conversazione che avevo avuto con lui il sabato sera a tavola, nel corso della quale mi aveva fornito alcune notizie sulla nascita in Italia della madre Christina, unica figlia dell’autore del memoriale, avvenuta a Santa Maria di Leuca nel 1946, quando Perec e sua moglie Stella si trovavano nel campo pugliese per Displaced Persons di Santa Maria al Bagno, nella vana attesa di raggiungere la Palestina. Cose – mi disse – cui avrebbe purtroppo potuto solo accennare nel suo intervento della mattina dopo.

Ho deciso allora di riprendere in mano il memoriale e leggerlo per intero con attenzione, per scoprire se contenesse altri particolari circa questi felici sviluppi dell’immediato dopoguerra nelle peripezie di Perec Szechtman. Ed è così che ho potuto finalmente scoprire il grande interesse e valore di un testo, che non è solo una testimonianza sullo sterminio degli ebrei nella Polonia occupata dai nazisti, ma anche un sintetico ma vivacissimo affresco dell’epoca che va dagli anni Trenta alla fine del “secolo breve” e che include  – oltre alla tragedia della Shoah  – altri importanti temi ed aspetti, quali l’immigrazione ebraica in Palestina (aliyah), la resistenza, la vita nei campi per Displaced Persons, il difficile reinsediamento dei sopravvissuti in cerca di un ritorno alla vita in paesi lontani, per geografia e costume.

Il racconto di Peter Sedgman dedica infatti solo due capitoli su quindici al suo coinvolgimento nell’Aktion Erntefest e nell’Aktion 1005 nella foresta di Borek, alla sua partecipazione alla rocambolesca evasione, alla fuga e all’arruolamento nella resistenza polacca, e dedica proprio all’attività come partigiano lo spazio maggiore. Il resto del racconto ci parla delle sue vicende prima della guerra e di quelle nei decenni successivi. La sua è dunque in effetti una vera e propria storia di vita, che  – anche se scritta in forma asciutta (ed è un pregio…) e sintetica  – restituisce al lettore non solo il clima feroce di un’epoca, ma anche il ritratto di un carattere estremamente volitivo e tenace, quello di un protagonista, che è stato certo favorito dal caso come molti tra i “salvati”, ma è stato anche sempre sostenuto da una presenza di spirito straordinaria e soprattutto da un formidabile attaccamento alla vita. Una lezione importante quest’ultima, che anche le memorie di altri sopravvissuti ci hanno saputo trasmettere.

Conquistato dalla lettura delle intense pagine di Peter Sedgman, ho pensato di chiedere a Michael Evans e a sua madre Christina l’autorizzazione a tradurle e pubblicarle in Italia. Entrambi hanno acconsentito immediatamente e con entusiasmo, Christina particolarmente lieta del fatto che la storia di suo padre e della famiglia potesse essere conosciuta anche nel paese in cui ha visto la luce. Gli amici di Battello stampatore, ai quali ho poi sottoposto il progetto, ne hanno compreso il significato rendendosi disponibili a curare la pubblicazione. Ha così visto la luce l’edizione italiana del memoriale di Peter Sedgman, “Per quanto posso ricordare” (Battello stampatore, Trieste, 16 Euro). In essa, accanto al racconto autobiografico di Peter, è inserito anche il testo integrale del  contributo del nipote Michael Evans, che ne trasmette perfettamente la passione e l’impegno di erede di una testimonianza da salvaguardare e diffondere e rappresenta la miglior postfazione possibile al memoriale del nonno.

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