Ai primi del luglio 1920 l’assicuratore viennese Otto von Helmut e la sua giovane amante Flora Schwarzkopf giungono a Trieste con un moderno convoglio della Ferrovia Meridionale. A Trieste, da poco annessa all’Italia, Otto deve concludere degli importanti affari immobiliari. La coppia prende alloggio in pieno centro cittadino, all’hotel Balkan, un albergo all’avanguardia incluso nel complesso del Narodni dom, fiore all’occhiello della comunità slovena nella Venezia Giulia. La città sul mare sorprende e ammalia i due amanti, offrendo loro diverse occasioni di svago e mondanità.
Ben presto, però, Trieste inizia a svelare il suo lato oscuro: l’irredentismo postbellico, innestato in un dilagante malessere sociale ed economico, accelera l’ascesa dell’ideologia fascista. Otto e Flora, travolti da un vortice di crescente insofferenza che finirà per sfociare nella violenza più bieca, vedono la loro semplice scappatella estiva tramutarsi in un incubo dei più cupi: durante la loro permanenza in città, gli squadristi capitanati dal giovane ras Francesco Giunta danno alle fiamme il Narodni dom.
Il romanzo Fiamme nere è una profonda riflessione letteraria e artistica sulla Trieste degli anni Venti. La scrittura scorrevole trasporta il lettore alle origini di quell’atto di violenza inaudita che ferì a morte Trieste, deturpandone il volto multiculturale, e che segnò profondamente e irrimediabilmente le sue vicende.
la recensione al libro di Alessandro Mezzena Lona
da Arcane Storie
In “Fiamme nere”, tradotto dall’originale sloveno “Črni obroč” dalla sempre brava Martina Clerici per la casa editrice Mladika (pagg. 159, euro 14), Marij Čuk, che è stato per molti anni capo redattore della Rai del Friuli-Venezia Giulia, ha scelto un approccio molto interessante alla Storia. Non si è fatto ingabbiare da una troppo pedante fedeltà a ciò che è accaduto a Trieste all’inizio di un torrido mese di luglio del 1920. E pur restando sempre fedele a quello che racconta la Storia, ha voluto costruire attorno alla vicenda un impianto narrativo del tutto originale. Facendo interagire tra loro persone realmente esistite e personaggi inventati. Lasciando che la fantasia si prendesse le sue libertà, pur senza mai permettersi di travisare quello che, ormai, molti storici di professione hanno stabilito.
Non bisogna dimenticare, infatti, che pagine importanti su questi eventi portano la firma di studiosi qualificati come Elio Apih, Marina Cattaruzza, Anna Vinci e altri.
Al centro di “Fiamme nere” ci sono l’assicuratore viennese Otto von Helmut e la sua giovane amante Flora Schwarzkopf. La loro segreta fuga d’amore a Trieste nasce all’insegna della comoda, e opportuna, giustificazione di un viaggio d’affari per mettere a punto alcune questioni che riguardano il settore immobiliare. Accolti da Franc Vrabec, un dipendente dello studio legale Vilfan, i due piccioncini prendono alloggio all’Hotel Balkan. Incantati da una Trieste affascinante e bella, affacciata sul mare, circondata da magnifici piccoli borghi carsici, prodiga di ottimo cibo, di accoglienti caffè, di eleganti negozi, la città rivela ben presto ai due visitatori la sua anima oscura. Intorbidita dalla presenza inquietante di Francesco Giunta, un avvocato toscano spedito nella Venezia Giulia da Benito Mussolini per rafforzare i fasci di combattimento. Ma anche per cancellare la tollerante atmosfera di convivenza tra popoli di lingue diverse, eredità dell’Impero austroungarico. E imporre con la violenza un unico credo: quello dei nazionalisti italiani.
Sempre attento a miscelare narrazione immaginaria e rispetto per la Storia, Marij Čuk costruisce le sue “Fiamme nere” attorno a tre livelli: la discesa nell’incubo di Otto e Flora, che giorno dopo giorno si trovano a vivere in una Trieste intrisa d’odio e pronta a far esplodere la violenza; il macchinare criminale di Francesco Giunta per aizzare l’astio contro gli sloveni e architettare un assalto clamoroso come quello del Narodni Dom, potendo contare sull’ignava titubanza di chi era preposto all’ordine pubblico; l’avvicinarsi tragico di una morte violenta per un personaggio troppo in fretta dimenticato come Hugo Roblek, farmacista di Bled e apprezzato alpinista, che perirà dopo essersi lanciato nel vuoto, insieme alla moglie Pavla, dal Narodni Dom in fiamme il 13 luglio del 1920.
Vittima di una troppo diffusa insensibilità nei confronti del valore della vita, Hugo Roblek, e dell’unicità di ogni persona, che ancora oggi porta qualcuno a scrivere che, in fondo, ci fu un solo morto in quella sciagurata giornata. Come se l’orrore dei fatti accaduti avesse maggiore diritto di cittadinanza tra le follie del ‘900 se si fossero contate almeno qualche centinaia di vittime.
Scritto con grande passione, senza mai emettere giudizi, ma lasciando che siano i lettori a trarre le conclusioni, “Fiamme nere” ricrea quello spirito di autentico sgomento di chi non ha mai compreso e giustificato tanto odio e tanta violenza. E Marij Čuk, muovendosi con attenzione e creatività tra fantasia e dati storici, non dimentica mai la sua anima poetica. Tanto da aprire, al termine di ogni capitolo, un orizzonte largo davanti agli occhi del lettore in cui l’incanto del paesaggio si contrappone all’oscura follia di chi voleva imporre le proprie convinzioni con la ferocia dell’intolleranza. Con la catastrofe della distruzione. Con l’annichilimento della morte.
Nel romanzo non mancano passaggi di grande ironia. Quando “Fiamme nere” lascia spazio alla logorroica gentilezza di Franc Vrabec, ma anche alla patetica e vile acquiescenza delle autorità nei confronti di un manipoli di fascisti esaltati, oppure alle descrizioni delle piccole gelosie tra donne, l’amante Flora e la moglie Pavla. Del resto, Marij Čuk ha abituato i suoi lettori, soprattutto quelli che ricordano le raccolte poetiche, a versi scritti senza peli sulla lingua. Basterà citare quelli folgoranti di “Nas obronkih-Sui versanti”: “Tutti i poeti d’oltreconfine / sono dei geni. / Senza eccezione. / Taluni hanno la barba, / i secondi i baffi, / i terzi invece / sono rasati a zero. / Tutti, senza eccezione, / scrivono versi geniali / d’oltre confine. / Parola d’onore”.
Il Narodni dom fu eretto a Trieste nel 1904, su progetto dell’architetto Max Fabiani. Gioiello architettonico in stile liberty, l’edificio era il fiore all’occhiello e il fulcro della comunità slovena, all’epoca in piena ascesa ai vertici economici, sociali e culturali della città, insieme ad altri gruppi slavi, in particolare croati e boemi.
Il Narodni dom era anzitutto un centro culturale, dotato di un teatro con oltre 400 posti a sedere, parzialmente coperto da un lucernario apribile che lasciava scorgere il cielo; vi avevano sede anche una sala di lettura, una scuola di musica e una palestra. All’interno funzionavano diversi ristoranti e caffè, una banca e una tipografia. Non mancavano spazi dedicati a studi professionali e appartamenti privati. Il complesso era altrimenti noto per l’hotel Balkan, un albergo tra i più moderni d’Europa, che disponeva di camere lussuose e ben equipaggiate.
Il 13 luglio 1920, a cento anni esatti dall’incendio del Narodni dom, i presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor hanno presenziato alla cerimonia ufficiale che prevedeva la visita congiunta sui luoghi della memoria e la firma del Protocollo d’intenti per la restituzione dell’edificio alla comunità slovena. Emblematiche le parole pronunciate dal presidente Pahor in quell’occasione: “Italia e Slovenia oggi celebrano un’impresa condivisa, un traguardo meritato da chi, per cento lunghi anni, ha creduto in modo sincero nel rispetto, nella compassione e nell’Europa unita.” Ed altrettanto emblematiche quelle pronunciate da Mattarella: “Oggi, qui a Trieste, segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine rendendole preziose per la vita dell’Europa.” Parole che indicano una via luminosa da percorrere perché quel che è accaduto non accada mai più.