di Davide Strukelj del 31/3/2020 – Dunque alla fine è accaduto: in un breve lasso di tempo un piccolo mostro cattivo ha messo a nudo le pochezze di quello che per molti di noi era un gigante buono. Il piccolo mostro cattivo naturalmente è lui, il famosissimo CoV-19, un minuscolo virus composto di pochi elementi, un filamento di RNA e una capsula di acidi grassi e proteine. Incapace di vita propria, non può resistere a lungo all’esterno del suo ospite naturale, l’homo sapiens. Secondo alcuni i virus sono strutture subcellulari evolutesi parallelamente alle cellule dei “viventi”, secondo altri sarebbero il risultato si una semplificazione spinta all’estremo. Sono numerosi, piccolissimi, di varie forme e soprattutto ogni virus è specifico per uno o pochi gruppi di viventi, ognuno ha il suo ospite senza il quale non può replicarsi. Talvolta capita che mutino, ovvero che modifichino il loro corredo di informazioni e di conseguenza la loro struttura, anche fino al punto di cambiare l’ospite di elezione: il cosiddetto salto di specie. Ed eccoci così arrivati al nostro SARS-CoV-19.
In pochi mesi questo nanetto ha girato il mondo infettando esseri umani a destra e a manca in cinque continenti, seminando sintomi più o meno gravi, paura e in alcuni casi anche morte.
Ma qual è il gigante che il CoV-19 ha attaccato con tanta ferocia mettendone a nudo le debolezze? Non certo l’uomo, come si potrebbe facilmente pensare. Noi siamo solo la macchina che lui sfrutta per moltiplicarsi, siamo una fotocopiatrice di virus. Ma attenzione, il microbo non ha interesse a uccidere il suo ospite: ne va della sua stessa esistenza! Certo, replicandosi fa dei danni, ma il suo obiettivo biologico è la massima diffusione attraverso la riproduzione e il mutare di quel tanto che gli permette di sfuggire alle insidie della nostra (eventuale) immunità acquisita.
Il gigante che è finito in ginocchio davanti al nano è il nostro mondo. Anzi, le immagini che ciascuno di noi ha del nostro mondo. Un sistema artificiale, complesso e mastodontico che abbiamo costruito per contenere le nostre vite, rassicurare la nostra esistenza e regalarci un quotidiano senso di onnipotenza e inattaccabilità. A seconda dei punti di vista, quel mondo assume dimensioni spaziali e morali differenti ma fondamentalmente generali.
Un primo gigante finito in ginocchio al cospetto del virus è certamente il cosiddetto “mondo occidentale”. Da molti anni siamo abituati a pensare che malattie, carestie e atrocità varie siano appannaggio degli altri. Noi, gli occidentali, crediamo di esserne esenti. Colera, ebola, SARS, MERS, aviaria, suina e altre nefandezze ci sembrano tipiche di un mondo povero, poco igienico e sottosviluppato. Da noi queste malattie non possono attecchire, in fondo noi siamo puliti, educati, vaccinati… e lontani. Illusione finita. Siamo attaccabili come gli altri. Ci ammaliamo come gli altri e forse da domani guarderemo alle altrui sofferenze con maggiore empatia.
Altro colosso caduto ai piedi del nano è la sanità italiana. Da anni sbandierata come una delle migliori al mondo ha dimostrato la sua delicata struttura. Di grazia ci stiamo sostenendo con la volontà, abnegazione e capacità degli operatori, ma non possiamo chiudere gli occhi. Anni di tagli, privatizzazioni spinte e votate al risultato economico hanno impoverito la nostra sanità pubblica, sia dal punto di vista infrastrutturale che dal punto di vista della capacità gestionale. Nonostante l’esperienza cinese e tutti i segnali epidemiologici che ci mettevano in guardia, abbiamo tergiversato senza predisporre strumenti specifici, piani e procedure. Errore fatale, e gli errori, come è noto, si pagano. Ci si augurerebbe di non perseverare.
Ancora, un altro gigante franato al cospetto del microbo è la politica italiana. Non che ne avessimo una grandissima stima, ma forse abbiamo soprasseduto troppo a lungo con la convinzione che in fondo il Paese ce la poteva fare comunque. Sbagliato. Governi centrali e periferici composti da persone impreparate, massima espressione di quel tragico “uno vale uno” ormai assunto a vero mantra della nostra democrazia, hanno evidenziato tutte le loro difficoltà gestendo l’emergenza con disordine, incertezze e tentennamenti. Così come vorremmo essere curati dai migliori medici, dobbiamo anche pretendere di essere governati dai migliori politici. E se per diventare medico bisogna studiare anni, non si capisce perché per fare il politico bastano ottanta voti su una piattaforma privata. Questo aspetto va necessariamente tenuto in evidenza, e non serve una riforma costituzionale, basta ricordarsene quando si entra nella cabina elettorale.
Per completare il quadro, un colosso che sta perdendo giorno dopo giorno il suo fascino è senz’altro l’Europa. Un gigante golemico dai piedi d’argilla, capace di normare il diametro minimo delle vongole, ma incapace anche solo di ipotizzare una linea di condotta comune, e non parlo degli interventi economici, peraltro auspicabili, ma di una minima strategia di prevenzione primaria comune. Il nulla più totale. Nello stesso tempo si manifesta una incivile tirannide della contabilità sulla solidarietà, quasi che “comunità” avesse il solo significato della condivisione dei bilanci. E così il nostro Frankenstein sovranazionale, l’Unione Europea, sta mettendo in campo tutto quanto a sua disposizione per farsi voler male, e cioè esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere il primo punto del suo mandato, nel nostro interesse.
Altro gigante miseramente decaduto è il mercato. Per anni abbiamo creduto che il libero mercato (nella sua assunzione capitalista e neo-liberista oggi in voga) potesse adattarsi a tutto, che la mitica “manina” potesse intervenire e mitigare, adattare, guidare. Abbiamo invece assistito a una Caporetto di dimensioni mondiali e di velocità inimmaginabile. È bastata una settimana di severe polmoniti per mettere al tappeto l’economia e invocare interventi di finanza pubblica mai visti prima per dimensioni e profondità. Forse il mercato, inteso come entità sovranazionale autonoma, non è lo strumento più adatto per tutti i settori. Qualcosa va ripensato.
Parallelamente, la globalizzazione è un altro Moloch finito ai piedi del nanetto virale. La nostra idea era che spostarci liberamente fosse una conquista, e lo è. Ma comporta dei rischi e di conseguenza necessita di strategie specifiche. Un mondo globalizzato è un mondo piccolo, il che significa che quelle terre “altre”, che vedevamo lontane e luogo di caccia delle epidemie, sono arrivate sulla soglia della porta di casa. Quando abbiamo dovuto governare una crisi, ci siamo mossi con disordine e immaginando che le persone viaggiassero solo per linea retta secondo la direttrice Pechino-Malpensa. La globalizzazione non è fatta di linee ma di reti, con nodi e segmenti che si intersecano ripetutamente. Globalizzazione significa che tutti sono ovunque. Anche i virus, e la cosa va governata e non subita.
Ancora, tra i titani è rovinosamente caduta anche l’idea che avevamo della scienza, che non è un servizio della pubblica amministrazione in grado di fornire risposte certe e immediate a semplice richiesta. La scienza fornisce dati, che per loro natura non sono “adattabili” alle emozioni del pubblico, né ottenibili in tempo reale. Forse anche il mondo accademico andrebbe un po’ rivisto e modernizzato, magari spingendo di più sulla collaborazione e meno sulla competizione. Rimane evidente che la ricerca necessita di tempi e risorse, e fornisce indicazioni talvolta scomode da gestire. Ma non ascoltarle produce danni. E non sostenere la ricerca produce danni anche maggiori. Ricordarsi del salvagente solo quando si sta naufragando, non è una garanzia di salvezza.
Rimanendo tra i giganti della scienza, altra decaduta illustre è l’immagine che noi avevamo del tema ambientale. È ormai chiaro che esiste una relazione tra inquinamento dell’aria, in particolare per elevate concentrazioni di PM10 e inferiori, e diffusione del virus. Ma la nostra percezione dell’argomento è sempre stata di grande sufficienza. Poco importava del costante aumento delle giornate che sforavano i limiti del particolato, e la preoccupazione maggiore era il fermo delle automobili. Grave errore: non pensare a cosa respiriamo ci è costato carissimo e le mappe dell’inquinamento dell’aria e della diffusione del virus in Italia sono crudeli per la precisione della loro sovrapponibilità. Forse gli attuali modelli industriali e di mobilità non valutano correttamente il costo del loro impatto sull’ambiente, e se in futuro ci capitasse ancora di indossare la mascherina a causa dello smog, sarebbe auspicabile che qualche brutto ricordo ci inducesse a ragionare meglio su questo tema.
Concludiamo con la disfatta più fragorosa, la caduta di quello che è il gigante per antonomasia della nostra epoca: la comunicazione. Mai si è visto un crollo di tali dimensioni. In un mondo iper-connesso e iper-comunicativo, abbiamo assistito al materializzarsi del collasso degli estremi. Da un lato una comunicazione istituzionale degna di Topolinia, caratterizzata da informazioni parziali, errate, ritrattare, sfuggite, contraddittorie, enfatizzate nel bene e nel male… Insomma una gestione sbagliata da tutti i punti di vista. Dall’altra la comunicazione “social” con una proliferazione di idiozie, falsità, manipolazioni e catene che neanche il telefono senza fili alla scuola materna riuscirebbe a emulare. La comunicazione è cosa seria, e lo è in modo speciale nei casi di gravi emergenze. E siccome non comunicare è impossibile, la materia va tratta necessariamente dai professionisti. Dare brutte notizie è complesso, alimentare speranze è pericoloso, rimangiarsi la parola è deleterio. Gestire una crisi, anche dal punto di vista della comunicazione, richiede capacità specifiche e programmazione. L’alternativa è catastrofica.
In conclusione, oggi studiamo un nano al quale va riconosciuta la forza di aver attaccato e forse sconfitto alcuni dei giganti che hanno alimentato molte nostre certezze, ma anche confuso molte nostre priorità. Va anche detto che l’alleato più importante del microbo maledetto siamo stati proprio noi, con le nostre idee maldestre, il nostro individualismo e la nostra superficialità.
I danni economici saranno enormi, ma in qualche modo si farà. È invece difficile dire oggi quanto il CoV-19 abbia realmente inciso nelle statistiche della mortalità stagionale e quanto sia dissimile, da questo punto di vista, da altre sindromi virali precedenti. Resterà comunque un numero ingente di vite perdute che forse avremmo potuto risparmiare perché, se avessimo guardato meglio dentro a quel microscopio, oltre alle cellule invase dal virus avremmo visto anche il nostro mondo, per molti versi profondamente insufficiente.